Marketing Scientifico: come costruire brand memorabili

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INDICE DEI CONTENUTI

Mi ritengo un professionista competente e superiore alla media, ma niente di più.
Solo nella mia provincia (Rimini), riuscirei a nominare senza sforzo almeno 5 colleghi più preparati e con maggiore esperienza di me.
Ho lavorato con meravigliose aziende storiche del territorio riminese e non, ma non ho nomi altisonanti di brand nazionali nel mio portfolio (a parte un caso).
Eppure, se c’è una cosa che mi riesce davvero bene, è saper leggere la realtà e razionalizzare le idee altrui con cui entro in risonanza.
Dopo un paio d’anni di studi su fonti scientificamente suffragate e una decina d’anni di consulenze operative, mi sono accorto che la mia esperienza rifletteva una realtà ben diversa da quella dipinta dai fuffaguru con tutti i loro dettami tipici: brand positioning, micro nicchie, manipolazione dei pain point, fake scarcity, fake urgency, disapprovazione delle estensioni di linea, derisione delle strategie di branding in favore della pura performance e così via.
Nessuna azienda, bottegaio, artigiano, commerciante, freelancer in buone condizioni di salute ha mai adottato questa infinita sequela di stupidaggini urticanti e spesso amorali, anzi ha sempre fatto l’esatto contrario per assicurarsi successo, prosperità e clienti soddisfatti.
Man mano che ho continuato ad addentrarmi nella tana del bianconiglio, mi sono imbattuto in uno splendido libro sul marketing evidence-based dal titolo “How Brands Grow: What Marketers Don’t Know” del professore australiano Byron Sharp.
Questo libro trae origine dagli studi dei ricercatori dell’Ehrenberg-Bass Institute for Marketing Science, i quali vengono supportati e sovvenzionati da aziende del calibro di Turner Broadcasting, Mars, Colgate, Kraft, Procter & Gamble, General Motors, CBS, ESPN, Mountainview Learning e molte altre.
Lo scopo di questo articolo, dunque, è quello di spiegare i concetti chiave del marketing efficace e basato su evidenze classiche, oltre che per sfatare i numerosi miti legati alla fidelizzazione dei clienti e del targeting delle nicchie di mercato.

Non puoi controllare la customer loyalty

Nel panorama del marketing, la nozione di fidelizzazione del cliente è spesso elevata a dogma, un errore nel quale ammetto di essere incappato anch’io.
Fondandosi su questa premessa priva di solide basi empiriche, i professionisti del marketing tendono a concentrare i loro sforzi nella costruzione di relazioni durature con i consumatori, mirando alla loro fidelizzazione e a rafforzare l’attaccamento verso il brand.
Tuttavia, l’inefficacia dell’implementazione di dispendiosi programmi di loyalty è stata ampiamente dimostrata in letteratura. Questi hanno infatti un impatto marginale sulla crescita di un brand, in quanto la customer loyalty è una metrica fuori dal controllo diretto delle aziende.
I dati di benchmarking evidenziano come i livelli di loyalty siano grossomodo simili tra aziende concorrenti all’interno dello stesso segmento di mercato, con una leggera preferenza per i brand più affermati.
Di conseguenza, è opportuno interrogarsi sulla propria posizione competitiva solo quando si riscontrano livelli di loyalty significativamente inferiori rispetto ai diretti concorrenti, il che potrebbe indicare problematiche relative alla qualità intrinseca o alla percezione del servizio/prodotto offerto. Al di fuori di questi casi, non vi è necessità di implementare complessi programmi di fedeltà che non producono un reale spostamento dell’ago della bilancia.
Inoltre, studi di assaggio comparativi tra Coca Cola e Pepsi hanno dimostrato che le scelte dei consumatori non sono influenzate tanto dalla percezione del gusto quanto dalla marca indicata sull’etichetta. Questi esperimenti hanno rivelato che il brand Coca Cola gode di un tale livello di riconoscimento che induce i partecipanti a preferirlo, anche quando in realtà questi ultimi stanno consumando Pepsi (senza saperlo, in quanto sono state sostituite le etichette prima dell’assaggio).
Questo dimostra che la decisione di acquisto non è sempre motivata da ragioni logiche o razionali. La maggior parte delle persone sceglie un brand per abitudine o per semplificare le proprie decisioni quotidiane, e non per un’autentica passione o fedeltà.
Questo è un concetto che contraddice gran parte della letteratura di marketing tradizionale e non evidence-based, la quale sostiene che l’entità della loyalty varia enormemente tra i diversi brand, con esempi come Apple e Harley-Davidson spesso citati come epitomi di fedeltà assoluta, anche se pochi autori forniscono prove a sostegno di tali affermazioni.
Nessuno si chiede perché questa presunta lealtà non abbia protetto Harley-Davidson dalla perdita di quote di mercato a favore dei marchi giapponesi, o Apple rispetto agli altri PC.
Quindi, quali sono i fatti reali rispetto alla loyalty di Apple e Harley-Davidson? Innanzitutto, proprio come altri brand, i loro clienti sono fedeli “poligamicamente” a numerosi marchi.
La share of category requirements (SCR) di Harley-Davidson è riportata intorno al 33%. In altre parole, gli acquirenti di Harley-Davidson acquistano altre moto due volte più spesso di quanto comprino Harleys. Questa è una metrica di loyalty assolutamente normale per un marchio.
Allo stesso modo, il tasso di riacquisto di Apple è molto inferiore al 100% e non molto diverso dai suoi concorrenti. Va precisato che, in effetti, è leggermente più alto; ossia, più proprietari di Apple effettuano il loro prossimo acquisto restando fedeli al brand rispetto a quanto ci si aspetterebbe.
Una spiegazione realistica per questa “fedeltà” è che i proprietari di Apple dovrebbero cambiare sistema operativo e forse sostituire il software, se scegliessero di passare ad altro. Al contrario, un proprietario di Asus può passare a HP o Dell (o a molte decine di altri marchi) e usare lo stesso sistema operativo e software senza particolari complicazioni.
Questo fattore da solo spiega sufficientemente bene il leggero vantaggio in termini di loyalty di Apple, lasciando ben poco spazio alla dinamica della “passione” per il marchio.
Questo non significa che Harley-Davidson e Apple non abbiano clienti entusiasti o addirittura fanatici del marchio, ma questi individui sono un gruppo ristretto, e il loro numero non è in verità molto più grande di quello dei fan appassionati dei brand concorrenti.

Concentrati sulla penetrazione di mercato, non sulla fidelizzazione

Nel contesto del marketing contemporaneo, emergono due principali strategie per l’espansione di un brand: l’ampliamento della base clienti e il consolidamento dei rapporti con i clienti esistenti attraverso la fidelizzazione.
Spesso predomina la convinzione che concentrarsi sulla retention dei clienti sia la strategia più efficace, orientando di conseguenza le iniziative pubblicitarie e commerciali al rafforzamento della loyalty del cliente.
Questa scelta però è del tutto controproducente e per comprenderlo è sufficiente fare appello alla legge della Double Jeopardy.
La Double Jeopardy è una legge empirica nel marketing che, con poche eccezioni, evidenzia come i brand con una minore quota di mercato in un dato mercato abbiano sia decisamente meno acquirenti in un determinato periodo di tempo, sia una lealtà leggermente inferiore.
Il termine Double Jeopardy fu coniato originariamente dal sociologo William McPhee nel 1963, che osservò il fenomeno nei sondaggi di consapevolezza e gradimento per gli attori di Hollywood. Poco dopo, Andrew Ehrenberg scoprì che la legge si estendeva anche all’acquisto dei brand e si applicava alla stragrande maggioranza delle categorie di prodotti.
La principale implicazione della Double Jeopardy è che la crescita della quota di mercato dipende sostanzialmente dall’aumento della dimensione della base clienti di un marchio.
Pertanto, i brand manager di un marchio con una quota di mercato più piccola non dovrebbero essere rimproverati per metriche di fedeltà del cliente inferiori. Inoltre, non dovrebbero aspettarsi di riuscire a migliorare la fedeltà dei clienti senza aumentare sostanzialmente la penetrazione di mercato del brand.
Le aziende piccole hanno per loro natura un tasso di loyalty leggermente inferiore e dunque un numero maggiore di defezioni, ma è importante ricordare che un’azienda non può avere nessun tipo di controllo (a prescindere dalle dimensioni) su queste defezioni, com’è già stato spiegato nel paragrafo precedente.

I clienti occasionali sono una fetta importante del tuo fatturato

I professionisti del marketing spesso fanno riferimento alla legge di Pareto, la quale suggerisce che il 20% dei clienti più fedeli di un’azienda genera l’80% del fatturato totale.
Tuttavia, nel settore delle vendite, la distribuzione effettiva si discosta da questo modello ideale, attestandosi più realisticamente intorno al rapporto 60/40. Ciò significa che poco più della metà del fatturato proviene dai clienti abituali, mentre il restante 40% è attribuibile ai consumatori occasionali.
Questa dinamica implica che se le strategie di marketing sono esclusivamente orientate verso i clienti abituali, si rischia di trascurare una porzione significativa del mercato, quasi la metà, composta da consumatori meno frequenti. Ad esempio, il cliente medio di Coca Cola effettua circa dodici acquisti all’anno; sebbene non sia un numero elevatissimo, l’ampio volume di tali clienti contribuisce significativamente al totale delle vendite.
Analizzando ulteriormente la base clienti di Coca Cola, emerge che i consumatori occasionali, alcuni dei quali acquistano solo una bottiglia o lattina all’anno, rappresentano circa il 30% dei clienti.
I clienti abituali, che possiamo definire fedeli, ovvero coloro che la consumano quotidianamente o settimanalmente, con molta probabilità resteranno sempre tali (a meno che non sopraggiungano motivazioni forti per smettere di farlo, per esempio di salute) e non necessitano di particolari iniziative di marketing per essere spronati all’acquisto.
Questo scenario sottolinea l’importanza di focalizzare gran parte della strategia di marketing sull’ampliamento della penetrazione di mercato, puntando a raggiungere una clientela più vasta e variegata, principalmente composta da consumatori occasionali.
È fondamentale ricordare che anche per brand di dimensioni minori, come ad esempio Pepsi, la situazione è molto simile: il cliente medio effettua appena nove acquisti all’anno.
Pertanto, nel delineare un piano di marketing efficace, è cruciale rivolgersi a questa vasta demografia di clienti occasionali per due ragioni principali: anzitutto il loro numero è considerevole, dopo di che esiste il rischio concreto che possano dimenticarsi del brand se non vengono regolarmente stimolati con attività di marketing mirate.
Questo approccio aiuta a garantire che il brand rimanga rilevante e visibile anche per quei consumatori che non effettuano acquisti frequentemente.

Cerca di vendere a tutti

Come abbiamo visto la loyalty dei clienti, spesso vista come un pilastro del marketing tradizionale, si è rivelata essere una funzione numerica dipendente dalla grandezza di un brand piuttosto che un risultato diretto di strategie mirate.
In questo contesto, non stupisce che la strategia più efficace sia quella di non limitarsi a vendere a segmenti specifici di clientela, ma di estendere i propri servizi/prodotti al più alto numero possibile di consumatori. Le aziende in crescita tendono a possedere una vasta base clienti, rivolgendosi a un pubblico ampio e diversificato.
I brand di successo spesso adottano un approccio di marketing di massa, formulando messaggi capaci di rivolgersi simultaneamente a categorie eterogenee di clienti. Questo metodo si è dimostrato efficace quando il messaggio è ben congegnato ed è in grado di toccare delle corde universali.
Un esempio storico di questa dinamica si trova in uno studio condotto nel 1959 da un professore dell’Università delle Hawaii, che esaminò le personalità dei possessori di Ford e Chevrolet. L’acquisto di un’auto in quel periodo aveva un forte valore simbolico, e le case automobilistiche lavoravano sodo per forgiare immagini marcatamente distinte.
Tuttavia, i risultati mostrarono che i profili socio-demografici dei clienti dei due brand erano pressoché identici, una rivelazione sorprendente che suggeriva una sostanziale sovrapposizione nelle basi clienti di brand concorrenti.
Decenni dopo, ulteriori ricerche hanno confermato che i clienti di grandi brand concorrenti condividono profili molto simili tra loro. Questi dati evidenziano l’inefficacia di strategie che puntano a differenziarsi eccessivamente dai concorrenti, focalizzandosi su segmenti di mercato ristretti.
Ad esempio, nel settore della moda di lusso, i clienti di Versace non differiscono significativamente da quelli di Gucci, nonostante quest’ultimo abbia una presenza commerciale più ampia.
Questo ci insegna che i clienti dei nostri concorrenti potenzialmente potrebbero essere anche nostri clienti, e viceversa, sottolineando l’importanza di una strategia che miri ad attrarre un ampio spettro di consumatori.
In sintesi, un approccio di marketing che abbraccia una visione più inclusiva e meno segmentata non solo aumenta il potenziale di crescita del brand, ma è anche una tattica necessaria in un mercato dove le basi clienti tendono ad essere sovrapponibili tra i vari competitor.

Non conta differenziarsi, ma farsi notare

Capire la natura spesso istintiva degli acquisti è fondamentale.
La maggior parte delle decisioni di acquisto non è il risultato di una deliberazione razionale, ma piuttosto di un impulso quasi automatico. I consumatori tendono a scegliere prodotti non perché sono oggettivamente migliori, ma perché c’è “un qualcosa” che li spinge a preferirli, senza che compiano un’analisi approfondita delle alternative disponibili.
Non è sempre necessario o efficace cercare di differenziarsi a tutti i costi sulle caratteristiche uniche o sulla perfezione del prodotto. Piuttosto, è fondamentale emergere nella mente del consumatore come un brand distintivo.
Per raggiungere questo obiettivo, è essenziale curare attentamente elementi come il logo, lo slogan, la palette di colori e le musiche utilizzate nei propri materiali di marketing. Questi strumenti non devono solo essere attraenti, ma anche semplici, coerenti e facilmente memorabili.
Lavorando in questo modo è possibile influenzare le strutture mnemoniche dei consumatori, facilitando il richiamo rapido e spontaneo del nostro brand quando si presenta un bisogno relativo ai prodotti o servizi che offriamo.
Questa capacità di far sì che i consumatori pensino istintivamente al nostro marchio in momenti critici di decisione d’acquisto è definita “disponibilità mentale”. Essa rappresenta quel momento decisivo in cui il cliente si ricorda di noi, grazie al lavoro svolto in precedenza per assicurare che il nostro brand sia saldamente ancorato nella sua memoria.
La disponibilità mentale è quindi un obiettivo strategico fondamentale, poiché garantisce che il nostro marchio sia la prima scelta durante il processo decisionale impulsivo del consumatore.
In altre parole, la pubblicità si è trasformata in una lotta incessante per catturare l’attenzione dei consumatori, un compito complesso data la sovrabbondanza di media, prodotti e aziende. Gli addetti al marketing si trovano di fronte all’arduo compito di far emergere il proprio brand in un mare di concorrenza.
Considerando che i consumatori sono frequentemente distratti, impegnati e riluttanti a impiegare tempo e sforzo nelle decisioni di acquisto, diventa fondamentale adottare strategie che rendano un brand facilmente riconoscibile e memorabile. La coerenza è quindi fondamentale. Essa aiuta a rafforzare il ricordo del brand e minimizza la confusione per i consumatori, rendendo meno probabile che il marchio venga dimenticato.
Non importa le dimensioni dell’azienda o il budget di marketing disponibile, è essenziale mantenere una presenza costante nella mente dei consumatori. Più un brand è visibile e rilevante nel mercato, maggiore sarà la probabilità che venga scelto dai consumatori al momento dell’acquisto.
Prendiamo, ad esempio, la situazione di qualcuno che ha fame mentre esplora una città sconosciuta e desidera un pasto veloce e non troppo costoso. È molto probabile che scelga McDonald’s, non solo perché riconosce immediatamente il brand, ma anche perché associa il brand a convenienza e rapidità, un risultato diretto dell’efficace strategia pubblicitaria del gigante del fast food.

Le offerte promozionali portano vantaggi solo nel breve termine

Le promozioni e gli sconti possono certamente generare un aumento immediato delle vendite, ma il loro impatto sulla crescita sostenibile e a lungo termine del brand è spesso limitato.
Queste tattiche attirano clienti attenti al prezzo, i quali possono essere motivati ad acquistare dai costi ridotti. Tuttavia, la fedeltà di questi clienti può essere volatile; quando i prezzi ritornano al loro livello standard, è altamente probabile che tali consumatori riducano i loro acquisti o si rivolgano altrove.
I marketer ricorrono frequentemente a questa strategia perché offre risultati immediati e quantificabili, e vi è la convinzione che promozioni attraggano nuovi clienti che possono essere successivamente fidelizzati.
Tuttavia, le evidenze empiriche suggeriscono il contrario: una volta conclusa la promozione, le abitudini di acquisto dei consumatori tendono a ritornare ai livelli precedenti. Le vendite promozionali diventano una specie di routine per molti, parte di una strategia di acquisto mirata al risparmio, senza un impatto significativo sulla lealtà o sulle abitudini di consumo a lungo termine.
Di conseguenza, mentre le riduzioni di prezzo possono essere vantaggiose nel breve termine, è l’atto di curare il brand che garantisce benefici duraturi.
Investire nella costruzione di un brand forte e in campagne pubblicitarie efficaci non solo aumenta il valore percepito del prodotto, ma aiuta anche a stabilire una connessione più profonda con i consumatori.
Questo approccio, focalizzato sul valore a lungo termine piuttosto che sui guadagni immediati, è fondamentale per il successo sostenibile di un’azienda nel mercato competitivo odierno.

L’importanza della disponibilità fisica e mentale

Per un brand, essere facilmente accessibile sia in senso concreto che astratto è fondamentale.
L’accessibilità del prodotto gioca un ruolo cruciale nel successo delle vendite, un principio che può sembrare ovvio ma che richiede una riflessione approfondita nella formulazione delle strategie di marketing.
La facilità con cui i clienti possono rinvenire un prodotto è un potente predittore delle vendite. Prendiamo ad esempio Starbucks, la cui presenza ubiqua nelle città rende estremamente semplice per i consumatori effettuare un acquisto.
Tuttavia, la disponibilità va oltre la mera presenza fisica di punti vendita; comprende anche l’efficienza della distribuzione, l’efficacia delle consegne, e per i prodotti digitali, la velocità di download e di pagamento.
Qualsiasi elemento che faciliti e velocizzi l’acquisto migliora l’esperienza del consumatore e incrementa le possibilità di vendita.
Altrettanto importante è la disponibilità mentale del brand, ossia la rapidità con cui il nome del brand viene in mente ai consumatori nel momento in cui desiderano acquistare un prodotto appartenente alla categoria di riferimento del brand.
Consideriamo, ad esempio, una persona che si trova in spiaggia e avverte il desiderio improvviso di un gelato. Quanto è probabile che pensi al nostro brand di cornetti gelato? Se abbiamo efficacemente costruito la consapevolezza del nostro brand — tramite un’impronta coerente di immagini, loghi, colori e musiche — è possibile che il nostro logo emerga prepotentemente nella mente del consumatore.
A quel punto, il successo dipenderà dalla nostra capacità di essere fisicamente disponibili nel luogo più vicino, come un chiosco sulla spiaggia.
Se riusciamo a soddisfare sia la disponibilità mentale che quella fisica, abbiamo pienamente realizzato gli obiettivi strategici del brand.

Le (vere) leggi del Marketing

Un concetto che emerge dai modelli evidence-based del marketing è che tutto varia insieme.
Man mano che i brand crescono (ovvero acquisiscono quote di mercato), le loro metriche si muovono in direzione opposta rispetto a quelle dei brand in calo. I brand più grandi hanno metriche di penetrazione del mercato e lealtà più elevate.
Ciò suggerisce che le metriche di marketing, inclusa la quota di mercato, riflettano una sola cosa: la popolarità. Di conseguenza, i brand si differenziano in termini di popolarità, e tutto deriva da ciò. Inoltre, due brand rivali con livelli simili di popolarità avranno metriche molto simili tra loro.
Ecco alcuni modelli scientifici del marketing:
Double jeopardy law: i brand con una quota di mercato inferiore hanno molti meno acquirenti che sono anche leggermente meno fedeli, sia in termini di acquisti che attitudine.
Retention double jeopardy: tutti i brand perdono alcuni acquirenti e questa perdita è proporzionata alla loro quota di mercato. I grandi brand perdono più clienti, anche se rappresentano una percentuale minore della loro base clienti totale.
Pareto law 60/40: poco più della metà delle vendite di un brand provengono dal 20% dei suoi clienti migliori. Le vendite rimanenti provengono dall’80% inferiore dei suoi clienti. Ergo, la legge di Pareto nel marketing non è 80/20.
Law of buyer moderation: in periodi successivi, gli acquirenti assidui comprano meno spesso (rispetto al periodo di partenza che è stato utilizzato per classificarli come tali). Mentre gli acquirenti occasionali comprano più spesso e alcuni non acquirenti diventano acquirenti.
Natural monopoly law: i brand con maggiore quota di mercato hanno una proporzione maggiore di acquirenti occasionali nella loro base clienti.
Customer bases seldom vary: i brand rivali vendono a basi clienti molto simili.
Attitudes reflect behavioural loyalty: i consumatori conoscono e parlano di più dei brand che usano, mentre pensano e dicono poco dei brand che non usano. Pertanto, i brand più grandi ottengono sempre punteggi più alti nei sondaggi attitudinali sulle preferenze dei brand, semplicemente perché hanno più utenti (che sono anche leggermente più fedeli).
Usage drives attitude: gli acquirenti di diversi brand esprimono atteggiamenti molto simili e percezioni simili riguardo ai rispettivi brand.
Duplication of purchase law: la base di clienti di un brand si sovrappone a quella dei brand rivali in linea con la loro quota di mercato (ovvero, in un determinato periodo, un brand condividerà una data porzione dei suoi clienti con i grandi brand e una porzione inferiore con i piccoli brand). Se il 30% dei clienti di un brand ha anche acquistato il brand A in un determinato periodo, allora circa il 30% dei clienti di ogni brand rivale ha anche acquistato il brand A in quello stesso periodo.

Conclusioni

Un brand occupa uno spazio minimo nella vita quotidiana di una persona; in un mondo dove le persone sono costantemente impegnate e sommerse di offerte, è essenziale che un’azienda faccia continui sforzi per mantenere la propria visibilità.
È fondamentale cercare prima di tutto di entrare e rimanere nella mente dei potenziali clienti. È necessario rinfrescare periodicamente la loro memoria e assicurarsi di essere presenti nei luoghi che frequentano.
Agendo in questo modo, si incrementano significativamente le possibilità di crescita del nostro brand, sempre con la consapevolezza che sarà necessario perseverare in questa direzione.
CHI SONO? ALCUNE INFORMAZIONI SU DI ME

LUCA PASINI

Dal 2015 ad oggi ho lavorato come Web Designer e Consulente Web Marketing con aziende e attività nei settori più disparati: fitness, turismo, start-up innovative, automotive, sanità privata, e-commerce. A inizio carriera mi sono occupato principalmente di Web Design e Sviluppo WordPress, ma nel 2018 sono rimasto affascinato dalle opportunità offerte dalla SEO e dal Pay Per Click. Queste esperienze polivalenti sono confluite nella figura del Digital Strategist.

COMPETENZE PRINCIPALI
Realizzazione Landing Page 90%
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Google Ads e Facebook Ads 70%
SEO on-page e off-page 70%
Umorismo 100%

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